Stefano Chiodi, Bianco-Valente, 2000

Offuscamento, persistenza, ritmo, volatilità. C'è qualcosa come un passo doppio, o un contrappunto, insieme visivo e concettuale, che percorre e anima tutto il lavoro di Bianco-Valente e lo situa in una zona assai particolare della ricerca artistica di questo decennio finale del secolo.
Il loro mezzo espressivo favorito, il video, in forma più spesso di videoinstallazione, viene sin da subito scelto non tanto per le sue qualità, sembra un paradosso, ma per i suoi limiti: l'instabilità, la scarsa risoluzione, la labilità infine delle immagini elettroniche appaiono un appropriato correlativo di quelle "immagini mentali", proiezioni, visioni o fantasmi, che sono poi il vero terreno in cui si muove la ricerca dei due artisti napoletani.

E qui, naturalmente, occorre sgombrare il campo da un possibile fraintendimento: non si tratta di immagini elaborate in un senso, in una riconoscibilità, in una struttura sia pur enigmatica che rimandi alle profondità dell' inconscient romantico o all'ossessività surrealista. Al contrario, si tratta del prodotto informe del meccanismo con cui si forma nella mente qualcosa che si presta a essere interpretato come immagine, un quid pre-visivo, e sinestetico, non ancora declinato nelle strutture dello spazio e del tempo - quel che si vede "rovesciando gli occhi".
Questo sembra essere in effetti un tema continuamente percorso da Giovanna Bianco e Pino Valente: l'emersione di uno spazio in cui il primato, l'esigenza della riconoscibilità è costantemente contraddetta, messa in tensione da un gioco di correnti, di indizi (acustici o visivi) che rinviano irrimediabilmente il momento sintetico, finale, ampliando gli echi, le spurie, i falsi indizi.

Non trovo casuale, in questo senso, che nei loro video, in maniera contraria a quanto di solito accade, la ripresa dal vero non è successivamente alterata tramite l'elaborazione digitale, ma al contrario, è l'immagine di partenza ad essere privata dei suoi caratteri standard, e già sfocata, "bruciata" o "mossa", e quindi successivamente alterata negli equilibri cromatici (caratteristica la predilezione per toni saturi e spettrali - blu, gialli, verdi) come accade ad esempio nei video Deep in my mind (1997) e Mind landscape (1996), in cui non solo metaforicamente avviene la presa di possesso e l'esplorazione di un ambiente di estensione reale ma di consistenza ormai definitivamente mentale e memoriale.

La matrice intellettuale delle ricerche di Bianco-Valente non è estetica o psicologica ma biologica; non tanto la mente, quanto l'attività neuronale interessa gli artisti, il propagarsi degli impulsi biochimici e i modelli dinamici che li rappresentano più che l'analisi del profondo, lo stabilirsi della memoria come dinamica cerebrale più che come evento psicologico.

Questo approccio va considerato sotto un duplice punto di vista; come indice culturale esso denota la volontà di stabilire un punto di transito non occasionale tra la visione scientifica e i suoi strumenti e il campo dell'arte, nel senso di una ricostruzione anti-estetica di quest'ultimo. Come discorso propriamente legato alla forma, in quanto i modelli e i procedimenti dell'indagine biologica divengono un punto di riferimento costante nello sviluppo dei singoli lavori.

Non si tratta, evidentemente, di un'assunzione "ingenua" di immagini; il nucleo tematico fondamentale resta per la coppia il rapporto tra corpo e mente, non nel senso, come scrivono in un loro testo, di un "trapianto", figurato o meno, di protesi tecnologiche atte a estendere o amplificare le capacità percettive, o peggio di una traduzione edulcorata della ricerca più avanzata, quanto di una ridefinizione complessiva di quella relazione che si concentra sul livello di base, sul momento in cui pensiero, immagine, sensazione, ricordo ed emozione appaiono ancora inscindibilmente connessi.

Questo è del resto evidente in un'opera per molti versi atipica come Emotions have no density (1998), in cui appare l'immagine olografica di un giocattolo infantile (un triciclo) realizzato impastando polvere di cemento (plasticità irreversibilmente indurita) e lacrime (manifestazione dell'oscuro legame tra psiche e corpo), in una unione di opposti che ne fa un nodo metaforico estremamente denso.

Quel che in definitiva interessa maggiormente Bianco-Valente è la considerazione della natura intimamente sfuggente e contraddittoria dell'esperienza, che sin dai suoi momenti nativi appare legata a un'infinita trama di scelte, bruschi salti e improvvise accelerazioni, e in cui i confini tra realtà e apparenza si fanno labili sino a scomparire. Sono questi tutti temi che ritornano costantemente nella produzione recente dei due artisti, tanto nei video, ad esempio in Welcome X (1998), nato dalla collaborazione col gruppo musicale 24 grana , in cui si alternano e contrastano immagini liquide, organiche (che evocano sangue pulsante) e una rarefatta evasione in un spazio naturale alterato cromaticamente e quasi irriconoscibile, che nella modalità dell'installazione, in cui il coinvolgimento dello spazio reale in cui si muove lo spettatore è sempre un fattore determinante.
È quanto accade in Untitled (1998), un piccolissimo schermo a cristalli liquidi incassato nella parete su cui appare una figura umana sfocata e smangiata che cammina lentamente, accompagnata da una stratificazione sonora di semplici toni elettronici, o in The whole nothing I am (1998), realizzata negli antichi ipogei di Napoli, dove su un palloncino sospeso nell'oscurità viene proiettato l'immagine in lento movimento di profondità stellate, in una sproporzione ironica sottolineata del resto già nel titolo, o nell'installazione che prenderà forma nel Palazzo delle Papesse, sorta di discesa agli inferi attraverso la rete dei "bottini" che percorrono il sottosuolo di Siena.

Bianco-Valente insinuano le loro sottili sonde in una regione ove la realtà e la mappa mentale che la rappresenta sembrano confondersi in una sterminata maglia di connessioni, di cui il lavoro artistico sembra riprendere, sfidandola, la vertiginosa e pure tutta immanente complessità.
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Tratto da: Espresso, arte oggi in Italia, AA.VV., ed. Electa, Milano, 2000

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