Elena Fierli - Bianco-Valente, 2001

Immagini mentali - immagini biologiche. Così può essere introdotto il lavoro di Giovanna Bianco e Pino Valente i due artisti napoletani che delle immagini studiano e ricercano il processo formativo a livello cerebrale.

Ciò che a loro interessa, infatti, è il rapporto tra l'informazione che arriva al cervello e la sua traduzione in immagine per la mente, il lavorio dei neuroni, delle sinapsi, il flusso delle onde che si trasformano. Il ricordo, l'emozione, le sensazioni che noi percepiamo come qualcosa di chiaro e nitido ma che sono il prodotto di processi biologici e chimici che la mente elabora e converte. La formazione dei suoni nella corteccia cerebrale e il loro mescolarsi e confondersi con suoni sintetizzati e campionati al computer. La riproduzione nell'opera di tali processi.

Un'indagine del mondo digitale, fotografico, televisivo fatta attraverso i processi meccanici che spesso ci sfuggono perché troppo attratti dal prodotto finito. E anche un'indagine che trova il parallelo tra ciò che si forma nella nostra mente e il "soffice" mondo della meccanica digitale che produce immagini così tanto assimilabili a quelle mentali perché come queste sono effimere, soggette all'usura del tempo, al venire dimenticate.

Bianco Valente utilizzano il video e la fotografia proponendo soprattutto installazioni con immagini sfocate, sgranate, poco definite. L'aterazione dell'immagine non è successiva alla ripresa ma volutamente "sbagliata", volatile, offuscata. Questo perché del video prediligono i limiti, la bassa definizione delle immagini, la loro evanescenza, la difficoltà della messa a fuoco. Nell'era dell'informazione i due artisti ricercano anche la riproduzione della tridimensionalità, della realtà esterna attraverso l'occhio della telecamera e il filtro del computer, in uno sperimentare continuo verso il superamento dei limiti spazio-temporali del proprio corpo e della propria mente.

"Per noi "postorganico" non vuole dire migliorarsi con l'inserzione di protesi fisiche ad alta tecnologia, che pongano riparo al decadimento o alle limitazioni strutturali del nostro corpo. Per noi "postorganico" significa la fuga da vivi dal proprio corpo, prima che il lento e progressivo disfacimento cui è sottoposto, ponga termine alla attività cerebrale e quindi alla nostra reale esistenza. La somma di tutte le esperienze vissute, il nostro bagaglio soffice, è un'unica intricatissima traccia che si snoda nei miliardi di connessioni sinaptiche neuronali. Riuscire a decodificarla per affidarla a memorie attive non organiche, connesse in rete fra loro, ci renderebbe entità coscienti immateriali, capaci, alla velocità degli impulsi ottici, di acquisire nuove esperienze e spostarci senza limiti."

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