Diana Gianquitto - Bianco-Valente: Quello che c’è prima dell’arte 2007

Sospensione. Sussulto dei battiti. Momentanea assenza del fiato. Trovarsi in presenza di un’opera di Bianco-Valente innesca nell’osservatore lo stesso istintivo cortocircuito mentale e psichico che si prova alla scoperta di una nuova realtà: un elastico rifluire della coscienza nel ritrarsi dalla piana dimensione dell’essere per rispecchiarsi più limpida in una accresciuta e vivida consapevolezza. Vivida e incandescente, proprio come il magma cromatico dalle fluorescenze rosso-aranciate e verdi elettriche che infiamma i pixel dei video e la superficie delle immagini del duo potentino-partenopeo. Come se si tornasse a essere tabulae rasae in attesa di essere riempite di informazioni, come se si vedesse per la prima volta il reale o, meglio, come se si percepisse per la prima volta il lucido senso di esso.

Percezione: è proprio questo meccanismo neuronale, funzione tra le più essenziali cui tutti i viventi forniti di un apparato cerebrale o pre-cerebrale devono la possibilità di interagire con la realtà esterna, il nodo centrale della ricerca di Giovanna Bianco e Pino Valente. Ma l’approccio dei due creatori con la tematica è marcatamente innovativo rispetto a quello che altri autori hanno avuto fino a questo momento. Provenienti da ambiti formativi diversi e apparentemente (1) antitetici- da studi umanistici di lingue e cinematografia lei, da approfondimenti scientifici di geologia lui- i due artisti, che sono “nati all’arte” insieme, grazie al reciproco innamoramento che è stato foriero di una scintilla creativa ed esistenziale ancor prima e ancor più che sentimentale, riversano nella loro indagine quella completezza di prospettiva che solo l’integrazione e la perfetta compenetrazione di due punti di vista distinti può assicurare.
Psiche e scienza: ecco la duplicità delle loro competenze, ed è a questo formidabile strumento operativo a due punte che si deve la binaria sensazione che si prova innanzi a una loro opera: da un lato un “raffreddamento” delle emozioni, che vengono riportate al grado zero del loro nascere, al momento cioè in cui esse sono ancora e solo percezioni in-connotate, prive cioè di valori attributivi positivi o negativi; dall’altro, un accelerato e propulso “riscaldamento” dell’aura suggestiva e quasi magica e dell’intensità comunicativa delle loro immagini. Binario feedback, si è detto, e infatti i due registri di “freddo” e “caldo” procedono in perfetta contemporaneità e simbiosi, non è possibile provare il primo senza il secondo e ciascuno rimanda inevitabilmente e istantaneamente all’altro: le due reazioni non possono sussistere separatamente. E, come quando si maneggiano ghiaccio e fiamma insieme, la sensazione dell’una enfatizza violentemente la percezione dell’altra. A cosa è dovuta questa doppia onda d’urto comunicativa?
La disamina delle loro opere mostra un dato di fatto sorprendente, che allo stesso tempo ne individua l’inedita peculiarità: mentre l’arte del passato aveva cercato di essere alternativamente o mimesi fedele del reale- come in tutti i Realismi delle varie epoche- o replica dell’emotività da esso generata- come nel Romanticismo o nell’Espressionismo- o studio biologico sulla percezione di esso- come nell’Impressionismo e nella Op Art- l’arte di Bianco-Valente riesce invece ad assolvere tutte e tre queste funzioni pur non identificandosi in nessuna di esse. La loro opera, senza voler essere né un’imitazione dell’oggettività, né l’espressione delle emozioni del soggetto, né un meccanicistico studio percettivo, ricrea in modo a dir poco demiurgico un’altra realtà, una seconda natura. Grazie a un paradossale uso della tecnologia, che viene usata per catturare frammenti di reale già “sabotati” in partenza nella loro veritiera corrispondenza dalla fonte, in virtù di un uso della strumentazione che ne accentua- tramite filtri, lenti, modifiche strutturali- più l’aspetto di indeterminatezza e instabilità dell’immagine che quello di meccanica high fidelity, c’è nel loro lavoro l’ambizione a ricostruire un Secondo Mondo in laboratorio (2), convincente e “oggettivo” nella sua plausibilità almeno quanto quello originale.
Lo scopo non è però di ricreare mimeticamente il naturale, ma di ricostruire una determinata percezione o “immagine mentale” di esso.
E a ciò fa ottimo gioco proprio l’uso volutamente impreciso e sfocato della tecnologia, che riesce in tal modo a riprodurre immagini che, nella loro indeterminatezza e nelle loro sbavature, sono in tutto e per tutto simili a quelle che sperimentiamo nelle nostre memorie o nella dimensione onirica. Si sarebbe allora tentati di desumere che l’opera di Bianco-Valente serva principalmente come veicolo per l’intimità soggettiva ed emozionale degli artisti; e invece no, ed è proprio questa la specificità maggiore che differenzia e rende inconfondibile la ricerca del duo rispetto ad altri esperimenti nella storia dell’arte incentrati attorno al valore dell’Io. La presentazione di queste “immagini mentali” al fruitore, infatti, non è “emotivizzata” e “soggettivizzata” in partenza, non è cioè caricata di significati psicologici già dati e determinati dalla storia e dall’affettività personale dei due artisti- ed ecco spiegata la sensazione di “raffreddamento” precedentemente descritta- ma è al contrario volutamente lasciata indeterminata, aperta al completamento da parte dell’emotività dell’osservatore e a tutto ciò di cui egli vorrà riempirla, senza fornire in alcun modo una chiave di lettura prestabilita e univoca. E sarà proprio la partecipazione emozionale del fruitore a caricare di senso e soggettività- ma della sua propria soggettività, non di quella degli autori- l’opera.

Il senso di violenta veridicità dell’esserci e l’acuta comunicatività delle immagini di Bianco-Valente- il “riscaldamento” di cui si parlava- derivano paradossalmente proprio dal fatto che esse sono prive di una soggettività già condizionata, nella quale al limite potrebbe anche capitare di non immedesimarsi e riconoscersi, e costituiscono invece come delle plausibilissime immagini mentali che gli artisti, novelli Matrix, “innestano” nel nostro cervello, lasciandole aperte all’interpretazione emotiva che esso vorrà dare a esse, come schermi bianchi sui quali proiettare liberamente le proprie reazioni psicologiche (3). Davvero una seconda natura e un’altra realtà davanti alla quale la nostra mente è posta. Ecco dunque che il cerchio si chiude, e che si evidenzia come il duo riesca, attraverso la riproposizione di percezioni mentali così convincenti da essere vissuti come una seconda realtà capace di stimolare nel pubblico anche intense risposte affettive, a stringere insieme tutte le principali correnti di ricerca dell’arte fino ai giorni nostri- su oggettività, soggettività e percezione- e ad andare anche al di là di esse. L’innovativo approccio alla tematica percettiva consiste proprio nel fatto che le loro opere, lungi dall’essere meri studi biologici sul fenomeno, si pongono esse stesse come “macchinari innescatori” di emozioni, non passivi registratori di un sentire preesistente ma produttori essi stessi di sentimenti (4).

Così forte è la spinta a essere creatori di un “mondo ulteriore” che alcune ricerche del duo sono direzionate a replicare tecnologicamente non soltanto la realtà mentale delle immagini, ma addirittura la realtà organica degli esseri viventi e dei loro processi evolutivi o comportamentali (5). La tecnologia stessa nel lavoro dei due artisti, del resto, non sembra porsi come elemento a contrario rispetto alla natura, ma pare quasi essere considerata anch’essa parte integrante di quest’ultima. Nel rapporto tra l’elemento tecnologico e quello naturale, l’interesse del duo sembra rivolgersi maggiormente a evidenziare i punti di contatto e di reciproca interferenza che a rimarcare una totale estraneità dei due ambiti. Del resto, la tecnologia in quanto prodotto dell’uomo non è a esso completamente aliena: basti pensare alle ricerche di Derrick de Kerckhove su come il funzionamento dell’ipertestualità e delle reti informatiche replichi quello della mente umana. E anche la nostra essenza è in qualche modo simile a un computer, dal momento che siamo un insieme di corpo/hardware e di mente/software. Le interconnessioni stupefacenti tra mondo naturale e tecnologico, tra hardware e software, tra corpo e mente sono tematica centrale di molti lavori di Bianco-Valente (6). In ogni caso, in tutte le loro opere, il volontario evidenziare i limiti e le inesattezze delle macchine può essere letto proprio come un voler cogliere il loro punto di tangenza con l’ “imperfetto”organico. Inconfutabile è infine l’uso “umano” della tecnologia, non meccanicamente passivo ma consapevolmente attivo, nella stessa metodologia creativa degli artisti (7).

Ma la riflessione sulla de-soggettivizzazione delle immagini e sul necessario contributo da parte dell’osservatore per attribuire un senso emotivo ad esse ci porta automaticamente a riconoscere un altro carattere essenziale delle opere di Bianco-Valente: il loro essere, nel senso più profondo del termine, arte interattiva. Il “marchingegno” creativo progettato dagli artisti è incompleto senza la partecipazione interiore attiva del fruitore, e, anzi, la presuppone costituzionalmente. Questo aspetto è davvero fondamentale nella loro arte, anche se a prima vista passa forse inosservato, in virtù della facies estetica comunque completa e autonoma che il duo fa attenzione a lasciare nella propria opera, in modo da rendere possibile una comunicazione efficace anche solo a un primo livello di lettura meno spinto in profondità. E’ anche a questa esigenza, oltre che a un non comune senso dell’euritmia dell’immagine, che si deve l’equilibrio formale, compositivo e cromatico dei loro lavori. In particolare, il colore- generalmente assestato su tinte fluo ed intensamente espressive- gioca un ruolo fondamentale. Ma la comprensione più profonda e completa della loro opera non può prescindere da una necessità di interattivo completamento o “inferenza”- per usare un termine e un concetto sul quale si stanno concentrando le ultime sperimentazioni anche ottiche del duo- cognitiva ed emotiva da parte del pubblico. In relazione ad altri esperimenti di arte interattiva, anzi, la partecipazione richiesta è ancora più intensa, dal momento che investe la sfera profondamente psicologica dell’individuo. Rispetto, ad esempio, ad alcune ricerche di Studio Azzurro, grandi pionieri e indagatori dell’utilizzo del video nell’interattività artistica, è interessante rilevare come si operi una esatta inversione di termini: laddove negli “ambienti sensibili” dei primi l’emozione e il lirismo soggettivo appaiono già immessi nell’opera dall’inizio, mentre al fruitore si richiede una attivazione e una percezione reale della macchina-opera, attraverso le “interfacce naturali” (8), nelle opere di Bianco-Valente, al contrario, lo studio sulla percezione e sulla sua plausibilità realistica è maggiore in partenza, mentre la parte emotiva è demandata al pubblico, cui compete un completamento di tipo psicologico-cognitivo. E’anche per questo che gli artisti lasciano volutamente non chiaro il contesto situazionale delle loro immagini, per stimolare maggiormente una libera inferenza partecipativa da parte di chi guarda.

Come tutta l’arte interattiva, anche le opere dei due autori sono non un “oggetto” artistico già dato e determinato in partenza, ma un processo creativo che si realizza in fieri. Esse stesse diventano in tal modo realmente vita, calda e palpitante esistenza attuantesi nel momento presente. Del resto il concetto di arte come fenomeno evenemenziale che si realizza solo nel suo effettivo “accadere” esistenziale è fondamentale anche nella genesi del duo artistico, che come si è detto si è formato in seguito a una reale unione di vita, e persino nella sua metodologia di lavoro, che spesso accoglie stimoli provenienti da veri incontri con altri artisti. A ciò si devono, ad esempio, le numerose collaborazioni con musicisti. La musica stessa ha d’altra parte un ruolo di grande rilevanza nelle creazioni di Bianco-Valente, e col suo invadere l’ambiente reale e attribuire multisensorialità alle opere le avvicina ancor maggiormente a una forma di arte totale, arte-evento e arte-vita. L’esistenza e le infinite possibilità dei suoi intrecci hanno inoltre già spesso costituito vibrante fonte di ispirazione per gli autori, sia nell’accezione di neurologici “intrecci di idee e ricordi” (9) che nel senso di astrologici “intrecci del destino” (10). Una sicura consapevolezza dell’imponderabilità della vita e dell’impossibilità di qualsiasi previsione, incasellamento o definizione relativi ai suoi eventi è l’aspetto che più prepotentemente emerge dal modo in cui i due autori avvicinano la tematica dell’esistenza, nei suoi processi sia organici sia mentali (11). A ben vedere, ciò altro non è che coscienza e profondo rispetto della libertà di ogni essere vivente: la stessa libertà ed apertura alle infinite possibilità che, guarda caso, gli artisti lasciano alla ricezione emotiva da parte dell’osservatore, infondendo in lui, oltre a una risposta partecipativa, la profonda lezione che qualsiasi irrigidimento o etichettamento della vita equivale a renderla morte.

Un’arte che avviene come vita, che nasce solo nel momento di effettiva partecipazione del fruitore, inverandosi nella colorazione emotiva che egli attribuisce alle “immagini mentali” del reale: l’opera di Bianco-Valente è la ricreazione di un Mondo originario in cui non c’è ancora la differenza tra percettore e percepito, è uno stato primordiale dell’essere che è contemporaneamente la captazione del reale e il reale stesso. E’ l’Universo nella sua fase di gestazione embrionale, un tutt’uno inscindibile tra la natura oggettiva e la sua ricezione soggettiva in cui l’una non è distinguibile dall’altra, proprio come sono un’unica cosa la madre e il figlio da lei portato in grembo, due vite in un unico corpo. E’ quell’incandescente bolla di vita che c’era prima che l’essere-uomo si separasse dal cosmo che ora egli percepisce, è l’arte del fusionale e della fusione, dell’olistica unione tra il vivente e il suo ambiente (12). E’la verità, è quel mondo immensamente vero che solo può esistere quando ancora non è avvenuta la separazione tra conoscibile e conoscitore, e la gnosi è ancora possibile. E a “far nascere” l’arte, e a scegliere che volto dare alla verità, sono proprio le nostre emozioni, che attuando il processo di percezione si pongono come entità percettrice innanzi al percepibile e riempiono di senso le immagini. Ecco perché davanti alle creazioni del duo scatta immediatamente l’esigenza di capire, di riconoscere: è proprio la scelta di ciò che si vorrà vedere in esse a far nascere l’emozione, e la verità. C’è nel loro lavoro, al di là di ogni autistico nichilismo nei riguardi della possibilità di comunicazione col mondo e col vero, la sensazione che si possa ancora aprire uno spiraglio sull’Assoluto, seppur su un Assoluto soggettivo, e giungere ad attribuire al reale un senso, foss’anche un’ unità minima di senso (13). E, in fin dei conti, nessun Assoluto può essere più vero di quello che è valevole profondamente per il singolo individuo. L’impressione di sfioramento del Bello, del Sublime (14)- intesi non come attempate categorie leziosamente idealistiche, ma come quello stato di libera attualizzazione dell’essere che deriva dal riuscire a conferire un senso anche allo squallido e al doloroso- che capita spesso di avvertire nelle loro immagini è probabilmente dovuta proprio al completamento di senso esistenziale, ancor prima che psicologico, che gli artisti riescono ad attivare in noi. L’opera di Bianco-Valente non è rielaborazione emotiva della vita, è essa stessa reale percezione che innesca l’emozione e il significato; essa individua sottilmente quello che c’è nel momento appena precedente al ri-conoscimento e all’interpretazione del reale, quello che viene prima del compimento, con l’inferenza psicologica dell’osservatore, del processo artistico: essa è, a tutti gli effetti, quello che c’è prima dell’arte. E cos’è che c’è prima dell’arte? Siamo noi, è la Vita, è quel primigenio magma universale alogico che precede qualsiasi sovrastruttura cognitiva e morale, è il Deus sive Natura di Spinoza e l’al di là del bene e del male di Nietzsche, è il Dio creatore e distruttore degli Induisti, è l’insieme di Materia e Spirito. E’, in fin dei conti, solo l’esistenza, la fotografia dell’esistenza. E ognuno la percepisca come crede.



Note:
1 In realtà i due campi non mancano di punti di contatto: oltre alla considerazione che la scienza, soprattutto in seguito agli studi sui quanti e sulla relatività, ha recentemente scoperto di essere meno “esatta” e più “imponderabile” di quanto si credesse precedentemente, c’è anche da riflettere su come le scoperte scientifiche siano rese possibili da una certa componente di “creatività” intellettuale. Inoltre, gli studi più avanzati di linguistica non possono prescindere da una considerazione “scientifica” dell’aspetto bio-morfologico degli organi di fonazione.

2 Oltre al fatto che l’interesse per la percezione è terreno trasversale di incontro per ricerche sia biologiche sia psicologiche e psico-linguistiche, anche tale “ricreazione laboratoriale” di una seconda realtà costituisce in qualche modo un punto di contatto tra la formazione di Pino (la scienza da sempre adotta simulazioni in laboratorio) e quella di Giovanna (in qualche modo l’immagine cinematografica è un convincente “secondo mondo” artificialmente ricreato).


3 Simile psicologicamente è la ricostruzione laboratoriale di episodi della propria vita nella tecnica dello psicodramma in ambito ludoterapico, in cui l’interpretazione emotiva e l’attribuzione di senso sono demandati all’osservatore-protagonista e non agli altri interpreti. Per altri versi, simile è anche l’ideale dello “schermo bianco” di freudiana memoria.

4 La presenza della soggettività degli autori, estromessa dalla colorazione emotiva che viene invece lasciata al fruitore, è dunque in qualche modo limitata al particolare “taglio” percettivo di realtà che essi decidono di mostrarci, come se gli artisti decidessero di farci semplicemente vedere “con i loro occhi” il mondo; e ognuno, poi, lo interpreti come crede. In questo, il loro lavoro è impressionantemente prefiguratore di alcuni innovativi macchinari recentemente presentati, sorta di telecamere così piccole da costituire quasi degli “occhi bionici” che possono essere “indossati” per tutto il giorno, allo scopo di restituire davvero agli altri “il mondo visto con i propri occhi”. Bianco-Valente però vanno ancora oltre, perché mostrano la percezione mentale, e non una passiva registrazione ottica del mondo.

5 Si veda Alife, o Volatile.

6 Machine is dreaming, Breathless.

7 Lo sforzo di attribuzione di senso alla tecnologia nel lavoro di Bianco-Valente produce quella “ricollocazione dell’Uomo contemporaneo rispetto al mezzo tecnologico” di cui parla Paolo Rosa relativamente al particolare uso della tecnologia da lui auspicato.

8 “Ambienti sensibili” e “interfacce naturali” sono terminologie dello stesso Studio Azzurro, e indicano installazioni a dimensione ambientale in cui l’interazione è suscitata da strumenti e gesti interamente naturali, quali il semplice tocco della propria mano (Tavoli) o il proprio soffio (Il soffio dell’angelo).

9 In Relational Domain, ad esempio.

10 Si veda Tempo Universale.

11 Esemplare dell’impossibilità di una lettura assolutamente esatta, matematicamente “euclidea” e “cartesiana”, del reale è Uneuclidean Pattern.

12 Così, l’unione corpo-mente e natura-tecnologia che si respira nelle sperimentazioni del duo è solo maquette in piccolo della più ampia unione del vivente-percettore con il suo ambiente-percepito.

13 Proprio Unità minima di senso è il titolo di un’opera di Bianco-Valente incentrata su ricordi, idee, esperienze presenti nella propria mente.

14 Tra le diverse colorazioni che può assumere il senso del Sublime in Bianco-Valente c’è anche una sorta di panico senso di immersione nella natura (elemento dichiaratamente molto amato dagli artisti), alle volte enfatizzato da un punto di vista ribassato, come nel già citato Uneuclidean Pattern. Ma notevole è anche la presenza di quello che Mario Costa definirebbe “sublime tecnologico”, come in Tempo Universale.

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luglio 2007

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