Valentina Tanni, Bianco-Valente Entità risonante, 2009

“Mi misi a cercare onde e vibrazioni mai raggiunte, a ideare strumenti per captarle e per trasmetterle.” (Adolfo Bioy Casares, L’invenzione di Morel, 1941)

Sin dall’antichità l’uomo è stato impegnato nella ricerca del significato. Della propria esistenza, della vita sulla Terra, dell’intero universo. Una ricerca millenaria guidata da una sola intuizione, capace di attraversare i secoli e le culture: quella dell’unità del tutto. A guidare questo viaggio verso la radice ultima dell’esistente sono stati i grandi sistemi del pensiero umano, la filosofia e la religione. Ma anche la scienza è ormai da tempo impegnata in un tentativo di unificazione.
Dopo aver analizzato, scomposto, smontato la materia in tutte le scale – da quella micro a quella macroscopica, dalle galassie alle particelle subatomiche – gli scienziati sentono ora il bisogno di elaborare una teoria capace di riunire i pezzi del puzzle in un unico, grande affresco cosmico. Questo sogno sembra avverarsi con la teoria delle stringhe, che ipotizza l’esistenza di una miriade di minuscole cordicelle in vibrazione nascoste nelle più intime profondità del mondo sensibile, di cui costituirebbero la componente ultima e inscindibile. La soglia stessa dell’esistente. Se tutto ciò che esiste fosse davvero fatto di microscopici anelli vibranti, le proprietà della materia sarebbero molto più simili a “modi” di essere che a caratteristiche intrinseche. E l’universo potrebbe essere immaginato come una sconfinata sinfonia di corde risonanti.
Si tratta di una realtà che si compie a un livello dimensionale talmente minimo che non solo ce ne preclude la visione - anche con gli strumenti tecnologici più avanzati - ma rende difficoltoso persino il processo immaginativo. Tuttavia la fisica e la matematica ne postulano l’esistenza con sempre maggiore convinzione, costringendoci a ripensare ancora una volta l’idea di materia - insieme a quelle, altrettanto fluide, di spazio e di tempo - mettendo in discussione l’impressione di solidità e impermeabilità di tutto ciò che ci circonda.
Il fascino di questa visione del mondo trae la sua forza dalla collisione concettuale di due idee apparentemente in contraddizione: l’unità e la complessità. Il sistema-universo è unico perché frutto di componenti inseparabili l’una dall’altra - una matassa di fili vitali impossibile da districare - ma questa inscindibilità non lo rende immobile e immutabile. Anzi, moltiplica all’infinito le sue potenzialità ricombinanti.
Bianco-Valente, da sempre impegnati in una ricerca profonda –sotterranea, abissale- nelle regioni poco esplorate della mente umana e delle sue relazioni con la natura e gli altri esseri viventi, raccolgono queste suggestioni e le trasformano in immagini e suoni. Un linguaggio poetico in grado di attivare le nostre abilità meno evidenti, i nostri sensi non utilizzati, quelli che raramente arrivano a lambire i confini della coscienza. L’essere umano emette e riceve di continuo; vibra e risuona, sta in comunicazione ininterotta con l’ambiente circostante e in una certa misura lo determina. Tornano in mente le parole di Morel, lo scienziato che dedica la sua vita alla costruzione di una macchina in grado di captare e registrare le “trasmissioni” umane, descritto nel capolavoro di Adolfo Bioy Casares:
“Una persona, un animale o una cosa, sono, davanti ai miei apparecchi, come la stazione che trasmette il concerto che voi ascoltate. Se aprite il ricevitore di onde olfattive, sentirete il profumo dei gelsomini appuntati sul seno di Madeleine, senza vederla. Se aprite il settore di onde tattili, potrete accarezzare i suoi capelli, morbidi e invisibili, e imparare, come i ciechi, a conoscere le cose con le mani.”

Q&A - Conversazione con gli artisti

Valentina Tanni
: "Entità Risonante" fa riferimento a una teoria, ancora non dimostrata, ma molto seguita, della fisica contemporanea. Ancora una volta la vostra ricerca si incrocia con le idee e le suggestioni della scienza. In che modo elaborate queste influenze? Come si trasformano in immagini, racconti visivi, elaborazioni poetiche?

Bianco-Valente: La nostra ricerca, anche se può sembrare fondata sulla scienza e sulle tecnologie, in realtà è incentrata sull’uomo, nodo fondamentale di tutte le nostre opere. E’ vero, usiamo abitualmente mezzi elettronici, ma tutti i nostri lavori nascono dalla parola. Da riflessioni e da intuizioni che costituiscono il filo del discorso iniziato il giorno in cui ci siamo conosciuti.
Non c'è mai stata vera distinzione fra Bianco-Valente e Giovanna e Pino: con le parole è cresciuto il nostro lavoro e siamo cresciuti noi come persone.


VT: A proposito di parole. Un altro tema forte di questa mostra riguarda proprio il potere del linguaggio, la capacità che la scrittura e la parola hanno di influenzare l'essere umano. Di provocare piacere, dolore, emozione. Da dove nasce questa idea?

BV: L'uomo è l'unico essere vivente ad utilizzare una così complessa forma di comunicazione verbale. I due step evolutivi che ci distinguono dalle altre forme di vita animale sono stati l'alzarsi in postura eretta, liberando così le braccia e le mani dal compito della deambulazione per utilizzarle nella manipolazione del mondo, e l'uso della parola, che ha serrato i ranghi del nostro vivere in comunità coese. Comunità che mettevano in condivisione, proprio grazie alla parola, le proprie personali esperienze. Entrambi questi eventi evolutivi hanno richiesto una notevole crescita della corteccia cerebrale, che è quindi il terzo elemento che ci distingue dagli animali.
Alla parola, inoltre, è stato da sempre attribuito un potere magico, curativo. Come se avesse la capacità di entrarci dentro, modificando il nostro stato vitale. La preghiera, con cui l'umanità si rivolge alle divinità, è fatta di parole; molti riti sono fatti di parole; lo psicologo induce variazioni nei nostri equilibri psichici utilizzando esclusivamente le parole.
Nell'antichità si utilizzavano coppe al cui interno erano incise particolari frasi, e si credeva che bevendo da esse si assumesse anche l'energia curativa di quelle parole. Oppure si faceva scorrere l'acqua di una fonte su statue decorate con frasi rituali, per poi berla. Anche quando il suono delle frasi che ascoltiamo si è dissolto, la loro energia continua ad agire dentro di noi. Le parole, lette o ascoltate, in cui ci siamo imbattuti, ci hanno formato.


VT: Mi sembra che tutta la vostra ricerca sia strutturata come un sistema di riferimenti incrociati. È come se ogni progetto contenesse un collegamento, un'assonanza – piccola o grande – con gli altri. È così?

BV
: Come dicevamo poco fa, il filo che unisce tutte le nostre opere è l'uomo, che esperisce quotidianamente i suoi limiti rispetto al tempo e alla complessità dell'esistente, elementi che ancora non è riuscito a comprendere pienamente. Tutto questo, nonostante utilizzi formidabili strumenti di astrazione che nel tempo ha messo al servizio della propria mente, come la matematica, la geometria e le strutture logiche che animano i computer che tutti utilizziamo quotidianamente.
Ma forse è proprio questo il punto. In un'illusoria sensazione di autosufficienza, ci stiamo sempre più arroccando nella torre d'avorio costituita dalle sovrastrutture culturali e dalla tecnologia, perdendo così sempre più punti di contatto con la natura che ci ha generato e di cui siamo espressione.
Dovremmo tornare ad essere un'entità risonante. Lasciar vibrare dentro di noi le forme di energia provenienti dalla Terra e dall'intero Universo.


VT: Tornate a Roma con una personale dopo quattro anni da Adaptive (V.M.21 Arte Contemporanea, 2005). Quanto influisce il luogo di destinazione di un progetto? E in che rapporti siete con la Città Eterna?

BV: Più che la città, è l'architettura specifica dello spazio che influisce nella creazione dell'opera. Tendiamo a non modificare gli ambienti, insinuando i nostri lavori nello spazio.
Roma, sembrerà assurdo per chi ci vive, ci regala ogni volta un senso di pace e rilassatezza, amiamo girare a piedi per il centro antico dove il tempo sembra rallentare, le persone sono rilassate, sembrano quasi muoversi al rallentatore.
Napoli invece non offre molte sfumature. Amiamo alla follia questo luogo, salvo maledire, appena un minuto dopo, il giorno in cui decidemmo di non andare via.
Però è di questa energia, in parte distruttiva, che ci nutriamo, questo è il nostro personale centro di gravità permanente, che fa sempre sentire la sua forza di attrazione quando siamo in giro per il mondo.
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Tratto da Entità risonante, Fondazione Pastificio Cerere, marzo 2009

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